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L’Edipo re tra colpa e destino
Ci sono due Pasolini, sostiene Ascanio Celestini in una recente intervista: quello che è stato ammazzato. Ci sono due Pasolini, sostiene Ascanio Celestini in una recente intervista.
di Giancarlo Felice

1. La fiaba nel mito

Tra le produzioni del 2022 il Teatro Elfo Puccini di Milano annovera lo spettacolo Edipo re, una favola nera, andato in scena in prima nazionale il 15 marzo 2022, presso la sala Shakespeare. La regia e l’adattamento del mito, firmati da Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, intendono proporre una lettura in chiave contemporanea dell’Edipo re di Sofocle. L’aggiunta di «una favola nera» al titolo, infatti, annuncia un nuovo e diverso punto di vista sulla nota tragedia ed è l’idea centrale da cui affrontare l’analisi di questo spettacolo. Il sottotitolo denuncia, infatti, l’operazione artistica alla base dello spettacolo e va analizzato nei dettagli: il termine ‘favola’ rimanda all’antico genere esopiano, ma la struttura che emerge dal percorso di ripensamento e di montaggio è piuttosto quella tipica della fiaba. L’interferenza tra i due generi probabilmente è dovuta al fatto che c’è un rimando alla favola esopiana, ma la narrazione è assimilabile alla fiaba magica studiata da Propp, poiché l’andamento della storia di Edipo diventa quello del bambino, trovatello, che lentamente va incontro al suo destino affrontando una serie di prove. La conversione del mito in fiaba rispecchia l’idea di teatro dei due registi, cioè quella di narrare storie che possano arrivare al pubblico suscitando domande sul mondo contemporaneo, invitando a un’interrogazione non sul punto di partenza, ma su quello d’arrivo. Trasformare il mito in ‘favola’ implica trasporre una storia adattandola al linguaggio teatrale dell’epoca che lo fruisce; questo processo permette di rendere le tematiche più vicine al pubblico di oggi e di far emergere le relazioni tra il mondo antico e quello attuale, coinvolgendo gli spettatori in un percorso di riflessione e confronto. Il mito, quindi, diventa specchio per analizzare le dinamiche sociali, le ingiustizie, i conflitti o le problematiche di ieri e di oggi, ma riuscendo a mantenere una distanza critica, dal momento che la narrazione, travestita da fiaba, assume l’aspetto di un racconto solo apparentemente non contemporaneo.

L’aggettivo ‘nera’, invece, attira l’attenzione sul dolore insito nel mito e sulla cupa storia degli eventi tragici. Qui ‘dark’ non è solo la vicenda, ma anche parte dell’atmosfera creata dalla scenografia, dalle luci e dalla musica; infatti, in diversi momenti dello spettacolo sul fondale vengono proiettati disegni, un collage animato che sottolinea l’anima tormentata di Edipo e che vuole mostrare il lato psicologico e interiore del protagonista, i suoi sogni e la sua anima offuscata da un nero destino. Le immagini aggiungono quindi un ulteriore livello interpretativo e immaginativo a tutta la messa in scena. In un’intervista, Ferdinando Bruni spiega il motivo del sottotitolo:

Alla fine cos’è l’Edipo di Sofocle se non una fiaba? C’è un trovatello, non c’è la strega cattiva ma un oracolo che dice che ucciderà i genitori, quindi lo abbandonano nel bosco; lui diventa un principe, torna a Tebe, sconfigge il mostro che sta alle porte della città e uccide i giovani, sposa la regina… e qui però manca il lieto fine. Perché la regina è sua mamma. E la favola diventa nera.[1]

La trama di Edipo, come ricorda Bruni, richiama la struttura delle fiabe analizzate da Propp, ad eccezione del finale, poiché non c’è il classico ‘vissero tutti felici e contenti’. Che tale elemento non sia tratto essenziale del genere può d’altronde trovare conferma tra le fiabe dei fratelli Grimm, che sono spesso connotate da un’atmosfera cupa e rappresentano le paure infantili e le radici psicologiche che stanno dietro un avvenimento o un fatto negativo.[2] Infatti, i racconti raccolti dai Grimm sono parte di una tradizione popolare e per questo risultano strettamente collegati ai miti, e spesso non hanno il lieto fine.

Nel rimando alla fiaba coesistono i due filoni di questo spettacolo: quello psicologico e quello popolare che si inserisce perfettamente nella poetica del Teatro. Il percorso che ha portato il Teatro dell’Elfo verso questa nuova messinscena di Edipo re dura da diversi anni. È infatti iniziato con Verso Tebe. Variazioni su Edipo nel febbraio 2020, sempre per la regia di Bruni/Frongia, ed è proseguito con la ripresa di Alla Greca nel luglio del 2022; tutti progetti uniti dall’idea di riflettere sull’archetipo del mito attraverso diversi punti di vista. Verso Tebe per l’Elfo è la prima tappa dello studio del testo di Sofocle, e può essere inteso come una prefazione dal gusto punk e dark che preannuncia l’atmosfera da ‘favola nera’ dello spettacolo successivo. Scrive Martina Treu su Stratagemmi Prospettive Teatrali: «Verso Tebe. Variazioni su Edipo, come rivela il titolo, è un work in progress in forma di concerto dove le voci si intrecciano e si sovrappongono, dove il mito si specchia in molte immagini riflesse (non in una lente, ma in un caleidoscopio)».[3] Il copione, letto dagli attori in scena, è un insieme di testi di diversi autori che nei secoli hanno riscritto il mito: questa è la prima consonanza con Edipo re, una favola nera, che ha in comune con la versione precedente anche gli stessi registi e attori: Edoardo Barbone, Ferdinando Bruni, Mauro Lamantia, Valentino Mannias.

Le differenze invece sono molteplici: mentre la prima versione si serviva di uno spazio scenico con il pubblico disposto sui quattro lati, la seconda rispetta l’assetto classico che vede lo spettatore posto frontalmente al palco. Un’altra riguarda il riferimento alla fiaba; infatti, l’operazione spettacolare attuata nella seconda versione è stata quella di ricreare una storia di Edipo declinata attraverso i testi che nei secoli hanno rivisto, citato e riletto il mito. La riscrittura in chiave fiabesca, in questo caso, ha permesso di connettere un mito antico ad un pubblico che apparentemente non ha più legami con la tragedia, ma mantiene una forte connessione con l’oralità del racconto e quindi con la pratica teatrale, cosicché per lo spettatore di oggi Edipo diventa una vicenda primordiale dell’inconscio umano, non a caso usata anche in ambito psicoanalitico.[4]

Il successo dello spettacolo ha richiamato in sala non solo il pubblico, già fruitore della prima versione della storia, ma anche lo spettatore generalmente interessato alla tragedia greca: la creazione di un sequel della vicenda di Edipo ha riportato la storia ad un linguaggio contemporaneo da serie televisiva e ha dimostrato come sia possibile rileggere ancora oggi un mito riscritto centinaia di volte. I registi sono riusciti così, ancora una volta, a ricreare quella comunità teatrale che da sempre si pone come un punto di forza e di orgoglio dell’Elfo Puccini. Non a caso, nel manifesto dell’Elfo sono citate le parole tratte dal testo Per un teatro povero di Jerzy Grotowski: «possiamo perciò definire il teatro come “ciò che avviene tra l’attore e lo spettatore”».[5] Questa affermazione conferma che il legame tra pubblico e palcoscenico è fondamentale per la messa in scena di uno spettacolo: è il rapporto individuale, umano e allo stesso tempo collettivo ciò che la comunità artistica del Teatro cura e a cui è interessata.

Addentrandoci nell’analisi della messa in scena dell’opera si possono riconoscere, nella drammaturgia riscritta da Bruni/Frongia, contributi testuali tratti non solo da Sofocle, ma anche da Seneca, Dryden e Lee, Dürrenmatt, Berkoff, Thomas Mann, Hoffmansthal, Cocteau e Pavese. L’uso di testi di diverse epoche ha portato ad una radicale riscrittura del mito, uniformato da un nuovo lavoro di traduzione sia della parte classica sia di quella moderna, per ricreare un linguaggio ritmicamente omogeneo nel passaggio tra i vari autori.

2. Tre linee di lettura

I nuclei tematici su cui i due registi si sono soffermati per farne punti di sviluppo dello spettacolo sono: la scena con la sfinge, il rapporto tra Giocasta e Edipo, il fil rouge del destino dell’uomo che percorre tutta la vicenda. Queste tre linee di lettura si discostano dallo scritto originale di Sofocle, mentre recuperano contenuti dai testi aggiunti e concorrono alla rilettura che la nuova regia ha voluto offrire del mito conosciuto.

La presenza della scena della sfinge si riferisce a due copioni molto differenti; in primis a Ödipus und die Sphinx (Edipo e la Sfinge, 1906) di Hugo von Hofmannsthal, da cui lo spettacolo dell’Elfo estrapola l’episodio che nell’Edipo Re di Sofocle costituiva solamente l’antefatto appena accennato in un inciso della tragedia. In secondo luogo, per la caratterizzazione dei personaggi, Bruni/Frongia hanno preso spunto dall’Edipo di Steven Berkoff, che descrive la sfinge, nel suo Greek (Alla Greca), come «una femminista convinta, il cui obiettivo principale è quello di asservire l’uomo, ritenuto la causa dei mali che affliggono la società».[6]

La sfinge, interpretata da Ferdinando Bruni, è il mostro che minaccia la città e, appostata alle porte di Tebe, pone i suoi enigmi ai passanti: l’unico modo per sconfiggerla e ucciderla è rispondere correttamente alla domanda. Tutta la scena viene riletta in chiave comica, richiamando una modalità che rimanda alla Commedia dell’Arte: la sfinge è una maschera, un Arlecchino burlesco e al contempo demoniaco, affamato di vite umane, che si beffa dei suoi nemici e il cui unico scopo è uccidere; la sua battuta è come una filastrocca che usa per attirare a sé i viandanti, per sfidarli e per portarli nella sua trappola mortale:

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