John Akomfrah (Accra, Ghana, 1957), uno dei principali artisti britannici del nostro tempo, adotta una ‘estetica del riciclo’ per realizzare opere video basate su fonti testuali e visive eterogenee. Intrecciando filmati d’archivio a riprese originali, Purple (2017), videoinstallazione a sei schermi, si avvale delle potenzialità insite in una narrazione non lineare per far convergere ricordi autobiografici e questioni eco-filosofiche e per evocare l'interconnessione tra gli esseri umani e il mondo naturale. Purple è il secondo capitolo di una trilogia di progetti che si concentrano sulla vitalità e la precarietà della natura: il primo, Vertigo Sea (2015) presenta l'oceano come un luogo di terrore e di bellezza in cui si condensano storie legate alla colonizzazione, alla schiavitù, alle migrazioni, alle guerre e alle attuali problematiche ecologiche; l’ultimo, Four Nocturnes (2019) si interroga sulla mortalità, sulla perdita, sull'identità frammentata, sulla mitologia e sulla memoria, utilizzando come ossatura narrativa il declino delle popolazioni di elefanti in Africa. Analizzando questa trilogia, il saggio si propone di riflettere sullo spostamento del fulcro tematico che si delinea nelle più recenti opere di Akomfrah: l’essere umano perde progressivamente centralità nella narrazione per fare posto ad altre specie e agli elementi naturali – il vento, la pioggia, la neve, l'aria – che diventano attori di un dialogo post-antropocenico sul nostro presente culturale e geologico, dal quale emergono i rapporti di causalità tra le logiche imperialiste e capitaliste della modernità e l’attuale condizione di precarietà sociale e climatica.
One of Britain’s leading contemporary artists, John Akomfrah (Accra, Ghana, 1957) mixes a broad spectrum of images and sources into evocative video works according to his commitment to the idea of a “recycling aesthetic”. Weaving together historical and original footage, Purple (2017), his largest installation to date, concentrates on the human impact on the environment. The video’s nonlinear structure weaves together autobiographical memories and ecological and philosophical issues, resulting in an impressive collage of ideas, images and sounds that evokes the interconnectedness of humans and the natural world. Purple is the second in the trilogy of projects that focus on the vitality and volatility of the natural world: Vertigo Sea (2015) portrays the ocean as a site of both terror and beauty in which diverse narratives interact, touching upon migration, the history of slavery and colonisation, war and conflict and current ecological concerns; Four Nocturnes (2019) questions mortality, loss, fragmented identity, mythology, and memory using Africa’s declining elephant populations as its narrative spine. Analyzing this trilogy, the essay aims to reflect on the shift in focus in Akomfrah’s works: Instead of privileging humans in the narrative, the artist assigns an equal, or even greater, importance to other species and elemental components – the wind, the rain, the snow, the air we breathe – that became the actors in a post-Anthropocenic dialogue on our own cultural-geological present, where modern society has become, in the course of centuries of capitalist industry, a driver of social injustice and climate change.