La frase riportata nel titolo è tratta da una dichiarazione di uno speaker della conferenza Ways Beyond Internet organizzata all’interno del Digital Life Design Festival del 2012, una delle rassegne più importanti al mondo dedicata al tema della creatività futura e all’impiego di nuove strategie commerciali per le grandi aziende e multinazionali. In quella cornice, durante una tavola rotonda moderata da Hans Ulrich Obrist – con vari artisti tra cui Rafaël Rozendaal, Oliver Laric, Cory Arcangel – Daniel Keller, fondatore del duo artistico AIDS-3D, ha preso la parola e, prima di intavolare un discorso sulla post-internet art, ha annunciato, con un misto di ironia e sarcasmo, che, per quanto possa essere sostenibile ed environmental-friendly, l’arte contemporanea – e più in generale la produzione culturale della contemporaneità – grava su un ineludibile paradosso; le GIF animate, le opere di net-art, per quanto sperimentali e all’avanguardia siano, esistono unicamente grazie a combustibili fossili e i computer, con cui in genere queste opere sono realizzate, sono stati assemblati da lavoratori schiavizzati dall’attuale sistema economico. In altri termini: la produzione artistica contemporanea legata ai nuovi media e alle tecnologie, che talvolta fa affidamento alle criptovalute e ai processi di mining, benché spesso animata da un forte sostegno alla salvaguardia e alla tutela dell’ambiente, ha, e avrà sempre, un impatto non trascurabile in termini di etica, ecologia e coerenza produttiva.
Gli ospiti della conferenza Ways Beyond Internet, all’epoca non così famosi, attualmente sono tra le personalità più iconiche della cosiddetta post-internet art, una tendenza artistica contraddistinta dall’utilizzo massivo di internet e della speculazione sul suo immaginario ‘pop’. Come ricorda il critico Brian Droitcour la post-internet art è una categoria che pone sullo stesso piano una «hazy contemporary condition and the idea of art being made in the context of digital technology».
La frase di Keller funziona come monito etico rispetto alla produzione artistica sperimentale degli ultimi dieci anni del XXI secolo. Termini come carbone e schiavitù possono apparire distanti dalla terminologia del contemporaneo, fatta di environmentally friendly entrepreneurship, cloud computing e weightless economy; questi ultimi espedienti linguistici, atti a oscurare un presente industriale e produttivo fatto di deregolamentazione e sfruttamento indiscriminato di risorse fossili e naturali, esprimono al massimo grado la contraddizione semantica che anima la definizione di Capitalocene, concetto formulato da Jason Moore nel suo articolo Anthropocene, Capitalocene and the Myth of Industrialization (2013). Proposto come antitesi al fortunatissimo ‘Antropocene’ coniato da Paul Crutzen e Eugene Stoermer nel 2000, il termine coniuga i problemi legati all’industrializzazione selvaggia degli ecosistemi terrestri ai privilegi classisti e sociali che differenziano Nord e Sud del mondo, in termini di ricchezza economica e sfruttamento a vantaggio del primo e a scapito del secondo. Finalizzato a superare l’antitesi umano versus naturale proposta dall’Antropocene, il termine Capitalocene definisce una nuova era geologica nata dal prodotto del capitalismo globalizzato, delle recenti pratiche colonialiste a scapito dei paesi meno sviluppati e dell’attività indiscriminata e deregolamentata di estrazione di risorse fossili e naturali; tutto ciò, in contesti specifici, è definibile come estrattivismo.
L’evento è trattato in C. Jones, ‘Conceptual Blind Spot’, Mousse, 1° aprile 2013, < https://www.moussemagazine.it/magazine/caitlin-jones-conceptual-blind-spots-2013/ > [accessed 10/07/2022]
B. Droitcour, ‘The Perils of Post-Internet Art’, Art in America, 29 ottobre 2014, < https://www.artnews.com/art-in-america/features/the-perils-of-post-internet-art-63040/ > [accessed 10 July 2022]. Per le interrelazioni tra post-internet ed ecologismo si veda anche E. G. Rossi, Mind the Gap. La vita tra bioarte, arte ecologica e post internet, Milano, Postmedia Books, 2020.
La paternità del termine non è ascrivibile unicamente a Moore, ma senz’altro è stato colui che più ha contribuito alla applicazione teorica del concetto. Cfr. J. Moore (a cura di), Anthropocene or Capitalocene. Nature, History, and the Crisis of Capitalism, Oakland, PM Press, 2016, p. 5, e J. Moore, Capitalism in the Web of Life. Ecology and the Accumulation of Capital, Londra, Verso, 2015, pp. 176-189.