La dimensione ‘leggendaria’ di questo legame si deve non solo alle aperture mondane dei due, alla loro disinvoltura nel presenziare a festival, cerimonie, kermesse teatrali o cinematografiche, ma anche alla spiccata propensione di Betti per l’affabulazione romanzesca; non c’è intervista, lettera o manifesto in cui lei non chiami in ballo il poeta, un po’ per la curiosità morbosa di giornalisti e paparazzi, un po’ per la necessità di restare attaccata all’ombra dell’amico scomparso («Il passaggio del tempo, soprattutto da quando non c’è Pier Paolo, per me è disperso al vento. Certo, non sono la sua vestale, ma, per me, è ancora l’unica cosa che vale nella vita»). La storia di questo côté affettivo è dunque puntellata di aneddoti, dichiarazioni, invenzioni più o meno audaci, che testimoniano l’intimità e l’ostinazione della ‘giaguara’, il suo essere irrimediabilmente votata a una fedeltà senza misura, e in ultimo la sostanza mitica di un rapporto capace di superare il limite dell’esistenza.
Senza pretendere di riuscire a raccontare tutto, si proverà adesso a isolare alcuni frammenti di questo incessante ‘discorso amoroso’ nel tentativo di tratteggiare i contorni di una ‘romanza’ ancora appassionante, per la costanza del sentire e la varietà di registri con cui Betti ha voluto e saputo declinare il suo affetto. Mentre Pasolini preferisce affidare alla verità della sua arte i ritratti della «sua moglie non carnale», riducendo al minimo i pronunciamenti pubblici e lasciando alla consuetudine dei riti privati le dimostrazioni di vicinanza, l’attrice si abbandona a slanci e attestazioni che giungono a comporre una sorta di celebrazione perenne del regime ‘coniugale’, attraversato da incomprensioni epiche e riconciliazioni sublimi.
L. Betti, ‘Il mio Pasolini’, intervista a cura di G. Fantuz, Il Gazzettino, 3 luglio 1990.
P.P. Pasolini, ‘Lettera a Jean-Luc Godard’, Roma ottobre 1967, in Id., Lettere 1955-1975, a cura di N. Naldini, Torino, Einaudi, 1988, p. 629.