Saggi
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Tra Arte e Scienza. Antropo(s)cene ed eco-drammaturgie teatrali contemporanee
Ero tutta costruita. L’invenzione di sé impegna Betti per tutta la vita, fin dall’arrivo nella capitale...
di Ester Fuoco

1. Introduzione

Gli strumenti di costruzione di una coscienza globale sull’attuale condizione di sfruttamento del pianeta – e sulle relative conseguenze ambientali – sono sovente frutto di un’ampia campagna di informazione pubblica condotta attraverso i media e i nuovi canali dell’informazione digitale. Eppure, il teatro può essere considerato un efficace strumento, non solo divulgativo ma anche persuasivo, per ciò che concerne le urgenti tematiche ecologiche e ambientali contemporanee.

[…] se gli inventori di performance culturali – sia quelle attribuite ad “autori individuali” sia quelle rappresentative di una tradizione collettiva – “mettono lo specchio davanti alla natura”, lo fanno con specchi magici che rendono brutti o belli eventi o rapporti che non possono essere riconosciuti come tali nel continuo flusso della vita quotidiana in cui siamo invischiati. Gli specchi stessi non sono meccanici: essi operano come coscienze riflettenti e le immagini riflesse sono il prodotto di tali coscienze modellato in vocabolario e regole, in grammatiche metalinguistiche per mezzo delle quali possono essere generate nuove performance senza precedenti.

V. Turner, Antropologia della performance, collana Collezione di testi e di studi, Bologna, il Mulino, 1993, pp. 76-77.

Come temi drammatici, il cambiamento climatico e la crisi ecologica sfuggono al modello di una rappresentazione drammaturgica statica. È pertanto più opportuno approcciarsi ad essi pensandoli come degli hyperobjects, un termine coniato da Timothy Morton per descrivere fenomeni che presentano, rispetto agli esseri umani, una tale dimensione/entità temporale e spaziale da poter essere visti solo in piccole parti – in singoli momenti – e la cui comprensione resta pertanto intrinsecamente difficile. Possiamo sperimentare direttamente il tempo atmosferico, ad esempio, ma il clima come sistema espanso e disperso rimane inaccessibile ai singoli individui, per quanto i potenti mezzi tecnologici attuali possano modellarlo bene. L’esempio di iperoggetto di nostro interesse è senza dubbio il riscaldamento globale, che a sua volta costringe l’essere umano a prendere coscienza che la sua esistenza si svolge di fatto all’interno di una continua serie di iperoggetti, che non esiste ‘un fuori’.

Il contesto in cui si articola questa analisi critica – in fieri – è quello dell’eco-drammaturgia, ovvero quella prassi teatrale che pone al centro le relazioni ecologiche, evidenziando i confini fluidi e permeabili costruiti tra natura e cultura, umano e non umano, individuo e comunità. Le fasi di sviluppo di un’eco-drammaturgia, che comprende sia il lavoro artistico del ‘fare teatro’ sia quello critico legato alla ricostruzione storica e alla drammaturgia, possono essere identificate – secondo la studiosa di eco-teatro Theresa J. May –  in tre passaggi, tre attività fortemente correlate tra loro:

T.B. Morton, Iperoggetti, trad. it. di V. Santarcangelo, Collana Not, Roma, Nero Editions, 2018.

T.J. May, Earth Matters on Stage, Ecology and Environment in American Theater, London, Routledge, 2021, pp. 5-7.

(1) esaminare il messaggio ambientale, spesso invisibile, di un’opera teatrale o di una produzione, rendendone esplicite le ideologie e le implicazioni ecologiche; (2) utilizzare il teatro come metodologia per affrontare i problemi ambientali contemporanei (scrivere, ideare e produrre nuove opere teatrali che affrontino questioni e temi ambientali); (3) esaminare come il teatro, in quanto arte “artigianale”, crei la propria impronta ecologica e lavori sia per ridurre gli sprechi sia per inventare nuovi approcci alla “lavorazione della materia”.

T.J. May, Earth Matters on Stage, Ecology and Environment in American Theater, cit., p. 6.

Le linee che si tracceranno non intendono essere descrittive o esaustive; sono semplicemente un tentativo di mostrare alcune pratiche eterogenee di eco-teatro (Green Theatre) che si confrontano con il tema dell’Antropocene o che sviluppano il proprio processo creativo a partire da pratiche sostenibili ed ecologiche. Non si intende presentare un elenco di testi teatrali che trattano della natura né tantomeno ricostruire un legame che è di per sé primigenio e costitutivo del teatro – quello con l’ambiente secondo le diverse accezioni – ripercorrendo storicamente la linea che va dalla filosofia naturale del teatro classico antico al teatro shakespeariano, giungendo fino alla drammaturgia contemporanea. Si vuole partire da alcuni esempi teatrali recenti, presentandoli attraverso una lente di analisi rizomatica per mostrare come il teatro – in quanto luogo di relazioni – ha spontaneamente accolto quella che forse si è rivelata essere la più complessa per l’uomo: la relazione con il cosmo e l’ambiente di cui è parte.

Gli studi anglosassoni sull’eco-teatro rimarcano come spesso si confonda ciò che lo studioso Richard Schechner, sul finire degli anni Sessanta, ha definito teatro ambientale (Environmental Theatre) con ciò che invece è l’eco-teatro. Schechner, infatti, proponeva un ripensamento della relazione tra lo spazio in cui ha luogo l’evento ‘casuale’ – o la rappresentazione teatrale tradizionale – e quello in cui si situa il pubblico.

Il teatro ambientale in modo nuovo, congegnato ogni volta ad hoc, usciva dai luoghi canonicamente dedicati in modo da non trascurare le relazioni e le tensioni interne alla performance, ovvero quelle dinamiche comunicative che si instaurano anche tra gli elementi materiali che ne fanno parte, non considerando come agenti solo quelli viventi.

La presente analisi eco-drammaturgica si riferisce a un teatro che genera da un lato una forma di coscienza attraverso la trasmissione di conoscenza e, dall’altro, lo stimolo di una riflessione verso una possibile trasformazione della realtà, attraverso una pratica performativa alternativa.

Uscire dall’ambito delle scienze biologiche e portare il tema dell’ecologia in un discorso artistico e performativo implica un coinvolgimento creativo e immaginativo, in quanto l’ecologia comprende tutti i modi in cui immaginiamo di vivere insieme. Essa riguarda, fondamentalmente, la coesistenza tra esseri viventi ed è per questo che il teatro costituisce, senza dubbio, un luogo privilegiato per discuterne e generare una spinta attiva nella comunità.

Sul palcoscenico, come in una ‘sala degli specchi’ – prendendo in prestito le parole dell’antropologo Turner – i riflessi sono molteplici, alcuni ingrandiscono, altri deformano i volti che si specchiano, spesso in modo da provocare non soltanto dei pensieri nella mente di chi li guarda, «ma anche potenti emozioni e la volontà di modificare l’andamento delle faccende quotidiane. Infatti, a nessuno piace vedersi brutto, sgraziato, nano. Le deformazioni nello specchio provocano la riflessività».

La nostra attenzione è dunque indirizzata alle modalità teatrali in cui i vari elementi di creazione di significato – drammaturgico e performativo – si relazionano con alcuni dei principali temi ecologici: cambiamento climatico, estinzione delle specie, consumo di energia; a performance o spettacoli in cui lo spazio dell’intimità e lo spazio del mondo diventano consonanti e i luoghi scelti sfuggono all’anonimato, riacquistando una valenza antropologica poiché si dimostrano «identitari, relazionali e storici». Spettacoli-conferenze in cui, considerate le basi estetiche classiche, nel teatro postmoderno si vede crollare la distinzione arte/vita, finzione/realtà. Negli anni Duemila, infatti, emerge una nuova estetica composta da interazioni e trasformazioni, una possibilità di far cooperare e interagire elementi anche apparentemente distanti come la scienza, la tecnologia e la natura.

Sebbene le questioni ambientali abbiano interessato i drammaturghi per tutto il XX secolo, la nascita dell’eco-drammaturgia come discorso critico che esamina il ruolo del teatro di fronte alle crescenti crisi ecologiche può essere fatta risalire al 1994, quando un numero storico di «Theater» viene dedicato al tema dell’ecologia, come oggetto di analisi affrontato anche dagli studi teatrali. Il teatro e la performance art, infatti, possono offrire un approccio del tutto peculiare nel loro impegno con le tematiche ambientali e climatiche fornendo delle chiavi di lettura, comprensione ma soprattutto il riconoscimento consapevole di ciò che circonda l’umano. Il potere del teatro di produrre cambiamenti nella coscienza umana, mediante la combinazione di arte e realtà, estetica e mondo, è da sempre riconosciuto come unico.

Le posizioni teoriche riguardo il ruolo e il coinvolgimento del teatro con l’attuale pressante tematica della crisi ambientale e dell’Antropocene si dividono in due visioni molto distanti tra loro. Entrambe, a nostro parere, meritevoli di essere menzionate. La prima, più tradizionale e di approccio storico, si rifà alla storia del teatro occidentale, densa di opere in cui la natura gioca un ruolo significativo, basti pensare ai testi di William Shakespeare, al Giardino dei ciliegi di Anton Čechov o ancora, all’arido paesaggio post-apocalittico di Aspettando Godot di Samuel Beckett. La seconda, più provocatoria, presentata nell’articolo di Una Chaudhuri There Must Be a Lot of Fish in that Lake: Toward an Ecological Theater, sostiene che sono le origini umanistiche del teatro a renderlo ‘anti-ecologico’. Infatti, a suo avviso, gli artisti contemporanei che lavorano con temi ecologici sono stati ostacolati da una tradizione teatrale che definisce il dramma come «un conflitto tra e sugli esseri umani».  

Eppure, sembrerebbe riduttivo fermarsi a un assunto che neghi totalmente qualsiasi potenziale fattuale ecologico del teatro. Per capire in che modo il contesto drammaturgico – testuale e scenico – possa essere qualificato appunto come ‘ecologico’ può essere utile il rimando alle caratteristiche fondanti individuate nella sua definizione di immaginazione ambientale, da Lawrence Buell, figura pionieristica dell’eco-critica letteraria.

Questi aspetti di base, che combinano livelli tematici, narrativi ed etici, riguardano in primo luogo ‘l’ambiente non umano’, considerato non come semplice ambientazione, ma come presenza che tende a suggerire che la storia umana è coinvolta nella storia naturale. In secondo luogo, l’interesse umano non è considerato l’unico legittimo. A seguire, la responsabilità umana nei confronti dell’ambiente fa parte dell’orientamento etico del testo. Infine, il tema dell’ambiente viene affrontato come un insieme di processi e non come una costante o un dato di fatto ed è sempre presente – almeno implicitamente – nel testo.

Considerando che il termine ‘ambiente’ designa non solo gli spazi esterni naturali ma anche tutti gli ambienti di vita, sembra plausibile che, combinando questi aspetti nell’ambito delle arti performative, si possano individuare delle tecniche teatrali ascrivibili al filone del già menzionato eco-teatro. Un’etichetta, questa, sotto la quale si trovano sia le opere che affrontano temi ambientali, mirate alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica o alla sollecitazione di un intervento di cambiamento, sia quelle che esplorano l’essere umano nel mondo naturale, in modo tale che lo spettatore, una volta uscito dal teatro, possa ‘sentire in senso filosofico e sinestetico le ‘cose’ intorno a lui come più vive e percepire un senso più profondo della propria identità ecologica.

Un’analisi eco-critica letteraria e teatrale, svolta cioè in chiave ecologista, inizia a svilupparsi negli anni Novanta fino alla teorizzazione presentata nel volume di C. Glotfelty, H. Fromm, The ecocriticism reader: Landmarks in Literary ecology, Athens, University of Georgia Press, 1996.

R. Schechner, ‘6 Axioms for Environmental Theatre’, The Drama Review, 12, 3, Architecture/Environment, 1968, pp. 41-64 e Id., Environmental Theater, New York, Hawthorn Books, Inc., 1973.

R. Schechner, ‘6 Axioms for Environmental Theatre’, cit., p. 51.

Si veda la definizione di catarsi aristotelica in Aristotele, Poetica, a cura di G. Paduano, Bari, Laterza, 1998, pp. 13-14.

T.B. Morton, Iperoggetti, cit., p. 4.

V. Turner, Dal rito al teatro, Bologna, Il Mulino, 2013, pp. 167-187.

M. Augé, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano, Elèuthera, 1992, p. 52.

H.-T. Lehmann, Il teatro postdrammatico, trad. it. di S. Antinori, Bologna, Cue Press, 2017.

AA.VV. Theater, 25, 1, 1994, < https://read.dukeupress.edu/theater/issue/25/1 > [accessed 21 September 2022].

Cfr. il numero monografico di Culture Teatrali, F. Bortoletti (a cura di), ‘Teatro e Neuroscienze. L’apporto delle neuroscienze cognitive a una nuova teatrologia sperimentale’, 16, primavera 2007, <https://cultureteatrali.dar.unibo.it/files/annuari_ct/CT16.pdf> [accessed 20 September 2022].

U. Chaudhuri, ‘There Must Be a Lot of Fish in that Lake: Toward an Ecological Theater’, Theater, 25, 1, 1994, pp. 23-31, < https://doi.org/10.1215/01610775-25-1-23 > [accessed 20 September 2022].

Ivi, p. 24.

L. Buell, The Environmental Imagination: Thoreau, Nature Writing, and the Formation of American Culture, Cambridge, The Belknap Press of Harvard University Press, 1995.

Ivi, trad. mia, pp. 7-8.

A. Damasio, Sentire e conoscere. Storia delle menti coscienti, Milano, Adelphi, 2022.

2. Un teatro in connessione con l’ambiente

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